4 Luglio 2024

Il Codice

Sul nuovo Codice di Deontologia Medica

Bello o brutto che sia, buono o cattivo che sia, il Codice di Deontologia Medica in vigore è, con il giuramento che lo precede e gli indirizzi applicativi che lo seguono, l’unica bussola etica  – cioè operativa – del medico, l’unico punto di riferimento per ogni suo agire medico. E, è banale dirlo, osservandolo, si osservano anche tutti gli altri imperativi, assertivi o proibitivi, dei codici delle leggi, con l’unica eccezione – eccezione, però, che, se ci è concesso dirlo, ha un qualche cosa di religioso – per il segreto professionale, quando il suo rispetto non viene condiviso dal Giudicante in sede testimoniale.

Piaccia o non piaccia, quindi, il Codice approvato, sia pure solo a maggioranza, nel maggio di quest’anno 2014 è la nostra guida, almeno sino alla prossima edizione.

A noi, è noto, non piace; lo abbiamo discusso criticamente, ne abbiamo proposto emendamenti, siamo giunti a dire che l’impianto intero andava rivisto, sia metodologicamente e sia strutturalmente. Con pochi altri Ordini abbiamo votato contro. Ma ora è il nostro Codice: abbiamo partecipato alla discussione, la nostra linea non è passata, ma adesso, per la coerenza dettata dal rispetto delle regole del “gioco”, accogliamo la decisione della maggioranza e lo sentiamo pienamente nostro.

I motivi dell’osservanza del Codice sono tanti quanti i suoi articoli; ma ve n’è uno soprattutto, più attuale che mai, che la impone: contrastare la responsabilità da malpratica.

La responsabilità professionale, infatti, si concretizza col porre in essere un comportamento negligente, imperito e imprudente oppure non osservando leggi, regolamenti, ordini e discipline.

Questi i paletti fissati dal C.P. all’art. 43; ma per il Medico non c’è solo il C.P. a dettare come non deve essere il suo agire; prima, per il Medico, viene appunto il vincolo del suo Codice e del Giuramento che lo precede e che vi è infuso (al 5° cpv. del 1° art. si legge: “Il medico deve prestare giuramento professionale.”)

Col Giuramento, infatti, il medico si impegna a “prestare, in scienza e coscienza, la [sua] opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della professione”; è degno di nota rilevare come questa espressione la si legga in chiusura, a sigillare le altre che la precedono.

Il rispetto imperativo delle norme deontologiche, poi, è dovuto, oltre che per il giuramento fatto, anche per il dettato del già citato art. 43 C.P., in quanto il Codice di Deontologia Medica rientra nella categoria di quelle discipline la cui inosservanza concretizza colpa professionale.

C’è, quindi, un doppio mandato: codicistico e penalistico, che si embricano l’un l’altro.

Vale la pena di sottolineare, inoltre, come il richiamo alla diligenza lo si trovi espresso in più parti del Codice (precisamente agli artt. 24, 26, 64 e 74), assurgendo così la diligenza a costante base e fissa di ogni agire medico, prima ancora della perizia (prestare in scienza) e della prudenza (prestare in  coscienza).

Diligenza, poi, significa ascolto; non può esserci comportamento diligente se prima non si è ascoltata la richiesta d’aiuto in ogni suo dettaglio. Il Paziente chiede soprattutto di essere ascoltato, e l’ascoltare sta per attenzione: il Paziente vuole attenzione, vuole essere al centro della scena, e a ragione, perché è lui il protagonista, è lui che sta male, è lui che deve essere curato: il Medico è solo uno strumento della cura, importantissimo, ma solo strumento, e neanche tanto perfetto.