5 Ottobre 2024

In prima linea contro il Covid, il “grazie” dei pazienti al dottor Luca Pilla “Non solo un medico, ma un amico”

Lo hanno atteso all’esterno del suo ambulatorio di Piazza delle Fornaci tributandogli un applauso per quanto fatto durante le difficili settimane dell’emergenza Covid. Così a Pontedellolio tanti cittadini hanno voluto ringraziare il dottor Luca Pilla, in prima linea come medico di famiglia nell’emergenza Covid.

Una iniziativa nata spontaneamente dagli stessi pazienti, che hanno voluto sottolineare “l’attenzione e la sensibilità” manifestata dal dottor Pilla – omaggiato con una targa – nei loro confronti, come si legge all’interno dei messaggi a lui rivolti: “Per noi ormai non sei solo il nostro medico, ma il nostro amico – le sentite parole -. Grazie per la tua attenzione nei nostri riguardi in un momento difficilissimo e grazie per la perfetta intesa raggiunta con noi pazienti. Ogni persona che passa nella nostra vita lascia sempre un po’ di sé e prende un po’ di noi. Tu hai lasciato, lasci e lascerai tanto professionalmente e umanamente. Per questo ti diciamo grazie, grazie per aver incrociato il nostro cammino”.

Una manifestazione di affetto che, ammette Pilla, lo ha messo in imbarazzo, perchè – tiene a specificare – “la riservatezza del mio lavoro è un punto fermo. Non riesco a rendermi bene conto di cosa abbia fatto in più di altri colleghi che si sono spesi quanto me in questa battaglia e che conosco personalmente. Vedere i miei pazienti ringraziarmi mi indica che un messaggio è arrivato: non erano soli in questa guerra, non lo sono mai stati e a loro volta mi hanno sostenuto. Insieme abbiamo condiviso ogni istante, i momenti più tristi con i decessi e quelli migliori quando diminuivano i pazienti ammalati. Sono contento di essere riuscito a sostenerli, ma non posso dire di essere soddisfatto: ci sono famiglie che piangono la perdita di persone che si sono trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato”.

Il ricordo corre alle settimane più critiche dell’epidemia: “Per affrontare un problema nuovo come il Covid 19 – spiega il medico piacentino, che è anche Coordinatore del Nucleo di Cure Primarie Alta Valnure – ho dovuto riorganizzare tutto: visitando regolarmente i pazienti infettati, io stesso potevo essere fonte di contagio per pazienti sani. Un cambio così drastico nel lavoro ha comportato tre decisioni naturali: informare costantemente i miei pazienti di ciò che stava accadendo, organizzarsi metodicamente per seguire l’evoluzione di ogni singolo paziente ammalato e abbandonare le viste domiciliari dei pazienti cronici per evitare ogni forma di contatto e rischio di contagio. Ognuno di questi tre punti è stato messo in pratica contemporaneamente: un gruppo privato dedicato ai pazienti su Facebook con report giornaliero su quanto accadeva, con indicazioni su come comportarsi e cosa aspettarsi; il monitoraggio clinico dei pazienti – anche attraverso saturimetri, esami del sangue e terapia infusiva a domicilio, grazie al lavoro eccellente degli infermieri dell’assistenza domiciliare che non si sono mai tirati indietro – con chiamate quotidiane ai pazienti per la valutazione delle condizioni di salute e visite domiciliari per i casi più gravi; i contatti telefonici ai pazienti cronici per seguirne l’andamento”.

Il tutto si traduce in 8-10 ore di telefonate giornaliere, insieme all’ambulatorio per visitare i malati Covid: “E’ stato importantissimo il confronto con i colleghi, in particolare con il dottor Stefano Ferrari di Bettola, con cui ci sentivamo per fare il punto e valutare gli aspetti nuovi che scoprivamo, sempre ascoltando il paziente. Il nostro obiettivo era intercettare ogni paziente sospetto per isolarlo e curarlo precocemente”.

“E’ mancata del tutto – fa notare – la raccolta dei dati clinici che solo i medici di Medicina Generale potevano vedere all’inizio della malattia o nel decorso. Abbiamo elaborato i nostri dati clinici per creare le nostre linee guida, che prevedevano l’uso dell’eparina, del cortisone, dell’idrossiclorochina, ma anche di altri farmaci, alcuni molto vecchi, che utilizzati al momento giusto seguendo sintomi e segni ci hanno permesso di trattare tutti i pazienti a domicilio, anche nei casi di polmonite accertata con tac o nelle ipossie importanti. Per me era un dovere etico e professionale. Non siamo stati eroi, ma medici che hanno ragionato con la propria testa e non con le linee guida dell’OMS, che ritengo molto deludenti in termini di risultati e farmaci”.

Il momento peggiore? “La comunicazione della necessità del ricovero e la telefonata di un nuovo paziente con la febbre: sapevo che da lì cominciava un nuovo percorso e non avevo idea a che cosa sarei andato incontro. L’evoluzione nel tempo chiariva le prospettive: la sfida maggiore era capire quando inserire un farmaco piuttosto che un altro, ma la condivisione delle informazioni e l’esperienza sul campo hanno semplificato queste scelte, rendendole quasi ovvie. Ognuno di noi medici imparava dall’esperienza dell’altro, siamo stati in grado di anticipare l’evoluzione della malattia e le sue complicanze. Umanamente il momento più gratificante era il giorno della comunicazione di fine malattia: dire al paziente che era guarito e “libero” significava concludere un viaggio intenso di condivisione della malattia. Con ciascuno di loro ora c’è un legame più forte, direi di fratellanza, come anche con chi ha perso un familiare in quei momenti. E’ stata dura non poter essere fisicamente vicino a loro a causa dell’isolamento: nel momento di maggior bisogno, quando ricevevano la notizia del decesso, io non potevo esserci perchè dovevo isolarmi o erano isolati loro. La disumanità del coronavirus si è mostrata anche in questo aspetto”.

“Il nostro rapporto di fiducia, reciproco, è cresciuto in questo periodo – sottolinea -. Devo ringraziare i miei pazienti per aver capito la gravità del momento: in quelle settimane non mi sono arrivate richieste di appuntamenti e visite per piccoli problemi. Mi hanno lasciato tutto lo spazio e il tempo che occorreva per curare le persone con Covid. Una grande prova di responsabilità singola che si è tradotta in responsabilità di gruppo”.

Tra i pazienti a domicilio seguiti da Pilla, dopo la metà di marzo non si sono verificati decessi e ricoveri. Sono ora tutti guariti, “anche se – osserva – si è aperto un problema per alcuni di loro che hanno esiti da monitorare continuamente e trattare, anche con esami specialistici per i quali non esiste oggi un canale preferenziale per la prenotazione da parte dei medici di Medicina Generale. Abbiamo un day service, che vuol dire lasciare i nostri pazienti in altre mani capaci, ma i pazienti chiedono a noi di essere seguiti e lo potremmo fare senza problemi. Anche questa sarebbe medicina territoriale”.

Cosa attenderci nel prossimo futuro? “Da un mese non ho pazienti nuovi, anche se ho visto alcuni casi sospetti con un quadro evolutivo differente. Ci manca ancora qualche pezzo della storia per arrivare a una diagnosi precoce migliore, che non sia basata solo sul tampone orofaringeo. Da aprile ci eravamo accorti che il virus era meno aggressivo e virulento. Può trattarsi di una sua evoluzione, ma molto è ancora da scrivere. L’attenzione rimane comunque altissima: il coronavirus è infido e la presentazione potrebbe essere molto differente da marzo. La sfida è riconoscerlo nella sua nuova veste e in quello che verrà”.

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