6 Ottobre 2024

“Cara figlia, ora che sei medico i tuoi pazienti sono tuoi fratelli”

Riportiamo la bella lettera (pubblicata su Libertà del 1 luglio) scritta dal Dottor Celestino Ferrari alla figlia, giovane medico, in una sorta di ideale passaggio di consegne. Una lettera che può essere indirizzata a tutti i giovani medici, in cui si esprime molto bene l’orgoglio e la preoccupazione di un padre che ama la professione ma allo stesso tempo ne conosce le difficoltà ed i rischi.

“Prima di estrarre la siringa, la fiala o il fonendoscopio – scrive il dottor Ferrari – guarda negli occhi chi ti ha chiamato, perché non ti ha chiamato per comperare un paio di scarpe o una pizza. Dagli la mano, cerca di essere sempre sorridente, parla come si parla a un amico e non a un caso clinico. Cerca di non scoraggiarti mai e metti nella tua borsa di medico anche queste inevitabili spine con le quali ti potrà capitare di pungerti, togliendo dalla borsa qualche farmaco o qualche siringa, ma vedrai ci sarà sempre qualche tuo amico-paziente che diventerà lui il tuo medico e curerà con amore la tua ferita”.

LA LETTERA – Carissima C.,

tu sai quanto ero felice il giorno che fosti ammessa alla facoltà di Medicina. La mamma, invece, era preoccupata, avrebbe preferito per te un lavoro più tranquillo, con più tempo libero, perchè una donna deve pensare anche alla famiglia, deve occuparsi anche dei figli, e un medico anche quando non sta lavorando ha sempre in mente i suoi pazienti. Forse i medici non dovrebbero sposarsi, proprio come i preti, ma i preti sono uomini, e non hanno la forza, la resistenza, la determinazione e l’abnegazione delle donne.

Il giorno della tua laurea ho diviso con il mio amico e collega W. un pacchetto di fazzoletti di carta; fingevamo entrambi di essere raffreddati ma eravamo commossi perchè le nostre figlie stavano per diventare nostre colleghe, dottoresse in Medicina e chirurgia, incaricate per scelta (vocazione?) e ora anche “nel nome del popolo italiano” di intraprendere una strada bellissima, con tante soddisfazioni ma anche ingombra di rischi, di imprevisti e di inevitabili delusioni. 

Ora che hai cominciato a lavorare, ora che fai il medico, e ti ritrovi da sola, con le nozioni (molte teoriche e poche pratiche) imparate all’Università, ora che vai a visitare i tuoi pazienti (non chiamarli utenti, non chiamarli clienti) i tuoi pazienti che diventeranno amici, confidenti, fratelli, perché un uomo che soffre non puoi non considerarlo un fratello, ora che giri con la tua borsa da medico non far conto soltanto su quei farmaci e quegli strumenti che la tua borsa contiene.

Prima di estrarre la siringa, la fiala o il fonendoscopio guarda negli occhi chi ti ha chiamato, perché non ti ha chiamato per comperare un paio di scarpe o una pizza. Dagli la mano, cerca di essere sempre sorridente, parla come si parla a un amico e non a un caso clinico; il medico che vede davanti a sè solo un caso clinico e non una persona da aiutare spesso non parla neppure! Scoprirai (lo stai già scoprendo) che il volto che ti ha accolto con i segni del dolore, all’apparire del tuo sorriso si farà meno dolente. Il tuo sorriso e la tua umanità sono già una cura, e non costano niente. Scoprirai (lo stai già scoprendo) il valore della riconoscenza.

Cinque uova, una torta, due vasetti di marmellata offerti con il cuore. Ricorderò sempre una bottiglia di amaro, peraltro disgustoso, acquistata in una bottegaccia e con il prezzo, bassissimo, ancora appiccicato sul vetro, portatami da un paziente che era stato abbandonato dalla fortuna oltre che dalla salute. Ho tenuto per tanto tempo quella bottiglia, non solo perché il contenuto era imbevibile, ma soprattutto perché mi era cara, come quel paziente, quell’amico. Mi sto accorgendo di scrivere come De Amicis con quel suo libro non più di moda; devi scusarmi, ma anch’io sono ormai un vecchio medico, mai stato di moda.

Qualcuno ha detto che la facoltà di Medicina è una facoltà umanistica; non solo umanistica, ma certamente non solo scientifica. La scienza senza umanesimo diventa schiava della tecnica, lo si vede oggi in tante cose, e io ci tengo a dirti che dietro ai farmaci, oltre le capacità chirurgiche, al di sopra delle conoscenze scientifiche deve sempre esserci l’uomo, con il suo buon senso, la sua passione, la sua esperienza, la sua responsabilità, il suo amore, insomma, la sua umanità.  Un’ultima cosa voglio dirti.

Proverai delusioni, patirai ingiustizie, sarai calunniata. Ti capiterà di sbagliare (nessuno è infallibile, nemmeno i medici) e sbagliare, per un medico, non è come sbagliare un rigore. Ancor più facile è commettere errori quando si fanno turni massacranti o quando la burocrazia ti distrae dalla cura dei tuoi pazienti, come certe interruzioni pubblicitarie non ti permettono di vedere con calma e attenzione un buon film. Ci saranno colleghi che invece di aiutarti e di sostenerti godranno delle tue traversie.

Ci sarà una opinione pubblica che spesso male informata e prevenuta, magari per colpa di pseudo colleghi che si sono comportati da delinquenti ti tratterà come un untore. La colonna infame non è soltanto quella di manzoniana memoria. 

Ebbene, cerca di non scoraggiarti mai e metti nella tua borsa di medico anche queste inevitabili spine con le quali ti potrà capitare di pungerti, togliendo dalla borsa qualche farmaco o qualche siringa, ma vedrai ci sarà sempre qualche tuo amico-paziente che diventerà lui il tuo medico e curerà con amore la tua ferita. Questo ti auguro, e ti invidio un po’, perché tu sei all’inizio di una avventura meravigliosa, la stessa avventura che io sto per portare a termine. 

Cara C. quanto è bello, nonostante tutto, essere medici! 

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